Osvaldo Marrocco (San Mauro Cilento – 1956) Laurea in Filosofia (Università degli Studi di Salerno) e Diploma di Magistero in Scienze Religiose (Diocesi di Vallo della Lucania), è stato docente di Lettere nelle Scuole Superiori.
Si occupa da 40 anni della storia del suo territorio con ricerche e documentazione, mostre, convegni, eventi, animazioni culturali e innumerevoli pubblicazioni.
E’ responsabile, dal 1999, del percorso espositivo complesso del Museo-Archivio-Biblioteca “Eleousa”, che raccoglie e custodisce opere e reperti librari, artistici e storici, e, dal 2018, del Museo “Vivo” della “Maschkarata”, l’antico Carnevale tradizionale della comunità locale.
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“GUARIGLIA”
Possiamo ascrivere questa famiglia tra quelle autoctone del territorio di San Mauro in quanto nella cognominazione che, a differenza di altre, resta invariata lungo i secoli, si può individuare una derivazione dal nome di una località, Guarino, un diminutivo che a sua volta trova la radice nella denominazione di un’altra più vasta, Guerra, ed indicare quindi una possibile provenienza dei primi gruppi famigliari da queste zone.
I Guariglia, che a metà del XV secolo intenti a crearsi un loro non piccolo “feudo borghese” mediante l’acquisto di fondi nelle terre della Serra (Casal Soprano -Sa-), cresciuti in numero, continuarono in questa politica, rappresentando in tal modo la prima presenza di quella ricca borghesia terriera che caratterizzerà San Mauro nei secoli successivi.
La loro affermazione la troviamo documentata a partire dal 1441 quando i fratelli don Francesco e Bartolomeo comprano da Giorgio Celenta due starze con alberi da frutta nei pressi dell’abitato della Serra ed un’altra nel fossato de la Serra per 12 ducati; dieci anni dopo allargano questi fondi acquistando da Nicola Giordano una terra lavorativa presso le Porte Solarate e un oliveto che si stende sulle località Monaco e fellarùlo de lo Monaco, per 12 tarì.
Indubbiamente godevano già di un indiscusso prestigio, derivato certamente dalla ricchezza fondiaria, se i suddetti fratelli sono chiaramente indicati con l’appellativo di don. Queste acquisizioni andarono ad aggiungersi alle altre che don Francesco (morto nel 1516) possedeva: una terra con viti e querce in località la Plaga (o Jaronta), un’altra con viti al Sifando e un querceto in località Panno (o Pando).
Veniamo così a conoscenza dell’iniziale patrimonio del casato i cui esponenti nei decenni successivi rapidamente impinguiranno acquisendo fondi soprattutto nei pressi di quest’ultima località. Contemporaneamente rafforzano il loro prestigio sociale coi mezzi di “promozione” allora in uso: intorno al 1465 rilevano la cappella di San Nicola di Paliaria (v. oltre), che sarà poi sempre la loro “cappella di famiglia” e col passare degli anni la doteranno di fondi e redditi; ma sono legati anche ad un’altra cappella, quella di San Sebastiano al Ratto (v. oltre). Nel censimento fiscale del 1489, sono raggruppati in 12 fuochi, tutti dimoranti nel Casal Soprano, per un totale di 47 persone, dei quali 3, nella verifica del rilevamento fatta nel 1508, risultano totalmente distrutti. I beni di questi, in parte passano nelle mani del Barone per il diritto del ritorno e in parte sono acquisiti da altri esponenti: Giovan Cola, Leonardo (j) e Feo; altri sono invece rilevati dal
notaio Gregorio Mazzarella.
Per maggiore chiarezza ecco uno schema (in netto gli intestatari dei fondi):
Come si nota, sono poche le variazioni; tra tutte va rilevato il trasferimento a Napoli di Antonio, figlio di Tommaso, con la moglie, ove vivranno e daranno origine ad un ramo del casato1; forse vive con loro il giovane Martino, figlio di Giovanni e Aquila, che risulta irreperibile al momento del rilevamento, e che diverrà poi prete (v. oltre).
Gli esponenti di queste famiglie, che si riconoscevano nel lignaggio comune (“ii qui dicitur Guariglia” è detto nelle fonti cinquecentesche), che già erano dunque i protagonisti incontrastati di acquisizioni di fondi, continuano la loro ascesa anche in piena crisi economica del feudo, come pare potersi desumere da uno dei due atti di transazione pervenutoci rogati sul finire del secolo: nel 1496 Vincenzo, figlio di Roberto, acquista da Petruccio Marrocco, in favore dei nipoti rimasti orfani, parte di
una terra lavorativa nella località li Carpini nei pressi del vallone del Monaco.
Oltre al possesso delle due summenzionate cappelle, il loro legame con i luoghi di culto si esprime anche nei confronti della chiesa di San Mauro, come dimostrano alcune cessioni fatte non oltre la fine del secolo ad opera soprattutto da Maria. Ella, prima che, in una coi fratelli Angelillo e Funzillo, cedesse ai Salurso un appezzamento di terra in località Lavaturo, mette su di esso, per parte sua, un “legato” di 2 grani per la celebrazione di messe nella chiesa di San Mauro ed altri 6 grani egualmente per messe su un altro fondo, che tiene in comproprietà coi fratelli nella stessa località, venduto a Francesco Guariglia ed altri 4 grani su un altro fondo nella stessa località prima di venderlo a Pacilio Marrocco, padre del rev. don Cubello (v.), procuratore della chiesa di San Mauro. Risultano strane queste vendite in un periodo in cui, nonostante la crisi, i Guariglia tendono a comprare: ma i “legati” di Maria ci spingono a pensare che questa donna fosse molto pia e che le somme derivate dalla vendita dei tre summenzionati fondi dovessero servire per il restauro della cappella di San Nicola che, di fatti, fu effettuato nel 1504 (v. oltre).
E’ dal secondo decennio del secolo successivo, passata la crisi, che si radicalizza definitivamente la loro posizione economica. Infatti, tra il 1517 e il 1527 troviamo documentati vari esponenti che hanno ottenuto l’assegnazione di terre o le hanno ereditate dai rispettivi genitori2, dei quali, purtroppo, non è possibile seguire la discendenza per le singole famiglie né la relazione di parentela fra loro.
(1 Per questo, v. A. GUARIGLIA, Famiglie Guariglia e affini. Notizie varie su San Mauro Cilento e Raito antiche sedi dei Guariglia, Napoli, 1932, che solo in appendice accenna ai Guariglia di San Mauro Cilento (pp. 211-234) e specie della cappella. 2 Feo ha un orto in località lo Scugulo; Benedetto possiede un fondo a la Fornace ed un altro con viti al Sifando, Masio possiede una terra lavorativa in località detta li penta Fondi, mentre Vinciguerra e Benedetto Francesco hanno piante di ulive in località Lavaturo; Corrado ha un fondo con piante di castagne in località le Castagne de intro (o le Cupine a lo Monte), un terreno lavorativo a la Valli ed un orto con piante di gelso in località li Pandulli; Francesco e Daniele una terra lavorativa con piante di ulive in località Lavaturo, attigua ad una terra lavorativa con piante di ulive di Nicola, di un’altra di Martino (che risulta già morto intorno agli anni Trenta, omonimo del prete, di cui v. oltre) e dei figli del fu Benedetto Francesco; qui anche Giovan Nicola, nipote della pia Maria, di cui sopra, e fratello di Francesco e Daniele, possiede un terreno lavorativo con piante di olive, probabilmente un’eredità della suddetta Maria, ed ha una terra lavorativa anche in località lo Pentatùro, confinante con un terreno lavorativo di Domenico e la moglie Petrella, il quale, insieme ad altri, tiene in fitto anche un terreno di Adanesio Greco in località l’Acqua viva; Tiberio tiene in fitto un terreno lavorativo con vigna di Lunsolo de Gogliuzzo in località la Rupa e lo ha dato in colonìa a Giuseppe de Panno; Bernardino ha invece un orto con due piante di gelso in località ncapo li Bigne; Giovanni, Francesco e il suddetto Martino, fratelli del fu Antonello, morto in giovane età, esercitano la potestà tutoria sul piccolo Datino e per questo ciascuno possiede la quarta parte di un vigneto in località la Fornace, ove anche il detto Martino possiede in proprio un terreno lavorativo ed un altro con piante di querce nei pressi della Fontana del Ratto, mentre Giovanni possiede per conto proprio una terra lavorativa con piante di ulive e querce in località la Vigna e tre quarti di un altro vigneto in località Sifando ed altra terra a lo Monte; Lisio ha piante di olive in località li Barbacteri, mentre i fratelli Parmulo e Amelio possiedono un vigneto a le Bigne de Lanno, ove hanno anche una terra lavorativa e con viti i nipoti del vecchio Vinciguerra, Bartolomeo, Daniele e il prete don Martino (per il quale v. oltre) ed un’altra lavorativa e con viti e olivi in località Lavaturo, attigua ai beni degli eredi del fu Benedetto e di Francesco, che hanno dato in fitto a Gesemundo e Giovannantonio Guariglia; mentre l’anziano Funzillo conserva una terra con olivastri (destinati alla messa a dimora una volta innestati) in località le Bigne, confinante con beni dei nipoti Daniele e Giovan Nicola; Parisio (o Paride) aveva un oliveto a li Staviani (o Santo Joanni); Sebastiano ed altri tiene in fitto il vivaio di olivastri di Funzillo Guariglia a le Bigne de Lanno; don Giovan Tomasi tiene in fitto, insieme ad altri, una terra con viti e a selva del rev. don Antonio Mazzarella in località le Quarrate, che hanno poi ceduta in subaffitto a Carlo Giordano; Andrea invece ha sottoscritto un censo per cui lo paga, per quel che gli compete, per conto di don Giovanni Maria Reale alla chiesa di San Mauro; mastro Ferrante, Commo e Pietro Paolo, probabilmente fratelli, tengono a colonia)
In questo periodo il patrimonio edilizio del casato è concentrato alla Serra dove sono documentate le abitazioni di Feo che possiede una casa terrena, attigua a quelle di Lisio e Martino lungo la via pubblica, fornita di lavatoio e forno, che ha affittato a Guarino e costui l’ha subaffittata a Loisio e Francesco; Masio ha anche lui una casa terrena precisamente nel luogo detto Santu Sevastiano (al Ratto) dall’intitolazione della cappella che vi sorgeva, dove già il fu Antonello e il fu Benedetto avevano costruito le loro abitazioni. Negli anni successivi il patrimonio agrario della casata aumenta notevolmente tramite nuove acquisizioni. Nel 1532 Domenica Celenta, vedova Guariglia, affranca in favore dei figli Valerio e Dario un canone annuo su una vigna in località le altre Fiche confinante con la via vicinale; nel 1554 Joesta Guariglia ottiene l’usufrutto di tutti i beni del marino Cubello Tipaldo; nel 1559 Amelio fitta dal rev. don Cubello Marrocco un terreno in località Petra piana; nel 1565 Speranza Guariglia acquista da Gian Domenico Guglielmotti di Rutino una terra con “magazèno” e cantina in località le Ficocelle confinante con altre proprietà Guariglia e con la via pubblica. Dunque, dai rogiti notarili esaminati risulta che i Guariglia acquistano i migliori appezzamenti di terreno lungo la via pubblica, lungo quelle vicinali e verso i valloni del Monaco, di Chiaromana e Panno: vale a dire ampie zone, da sempre tra le più fertili del territorio di San Mauro, a sud-est e a nord-ovest della Serra, creando in tal modo un vero e proprio latifondo gestito in maniera autonoma da ciascuna famiglia. Si tratta di un’espansione terriera che coinvolge praticamente tutto il casato, anche nelle avversità, quando essi comunque assicurano ai rampolli rimasti orfani (nel 1496 i figli del fu Baldassarre Guariglia e nel 1532 quelli di Domenica Celenta vedova Guariglia) appezzamenti di terre o affrancamenti di canoni. Costruiscono o acquistano siti adatti per la costruzione delle loro abitazioni a la Serra che edificano l’una a fianco dell’altra: significativo è l’atto di vendita8 del 1558, fatto da Giovanni Guariglia a Baldassarre Guariglia, di un “sito per la costruzione di un solo locale come corre lo muro della casa di Marco Antonio Guariglia di lunghezze et larghezze palmi vinti dui” confinante con la casa di quest’ultimo, dello stesso venditore e dell’onnipresente prete don Martino Guariglia. Queste abitazioni sono a ridosso delle Porte Solarate che fin dalla metà del secolo precedente, come abbiamo visto, erano sotto il loro controllo e costituiscono la loro fortificazione urbana. Nonostante l’immensa ricchezza accumulata, i Guariglia non entreranno mai nella cerchia dell’élite di San Mauro: solo negli anni a metà del secolo alcuni loro esponenti sono presenti fra i testimoni9 dei rogiti notarili, ma tutti senza appellativi di merito; ed è documentato un solo giudice ad contracta, Giovanni Guariglia che presiede un atto nel 1564. Forse, un tentativo alla scalata sociale verso un mondo che era stato loro da sempre negato, lo fecero quando favorirono il matrimonio di Licilla, nipote del prete don Martino, con il Principe de la Palmenta (v.), di antico casato che, sebbene in declino avrebbe fruttato loro il titolo. Ma quando costui morì nel 1566,
(insieme a Giovanni Cona e mastro Paolo de la Palmenta) un terra lavorativa con piante di olive e querce di Luca Celenta in località li Galli. 3 A. PERGAMO, Regesto delle pergamene, op. cit., pp. 27, 28: atto del 18 febbraio, notaio Regeno Mazzarella: Domenica Celenta, vedova Guariglia, affranca per 15 tareni un canone annuo di quattro tomoli di frumento esistente su una vigna sita in località le altre Fiche in favore dei figli Valerio e Dario Guariglia col consenso dei tutori dei due “pupilli”, gli zii, rispettivamente paterno e materno, Giancola Guariglia e Gentile Celenta; giudice ad contracta è Giovanni Salurso, testimoni sono Giovanni de Vosurio, Salvo Mazzarella, Tommaso Mazzarella, onor.le Luigi de Pascale, Onor.le Giovanni Mazzarella. 4 Ibidem, p. 30: 18 febbraio, notaio Masello Mazzarella: Cubello Tipaldi, gravemente infermo, detta il suo testamento nominando la moglie Joesta Guariglia usufruttuaria universale dei suoi beni e il figlio Domenico erede con l’obbligo di provvedere alla dote delle sorelle Adriana e Francesca; giudice ad contracta è Giovan Tommaso Tipaldo, testimoni sono Giovan Battista Cano, Pirro Guariglia, Annibale Guariglia, Pompilio Tipaldo, Clemente Guariglia. Polito Celenta. 5 Ibidem, pp. 32-33: 1° dicembre, notaio Ricciardo Parrino (di Lustra): Speranza Guariglia acquista da Gian Domenico Guglielmotta di Rutino una terra con “magazèno” e cantina in località le Ficocelle per la somma di 42 ducati; giudice ad contracta è Antonio Coco di Lustra, testimoni sono Nunzio de Sofia di Rocca, Domenico Ferrario, Giovan Giacomo di Ascigliano. 6 Ibidem, p. 26, atto dell’11 novembre, cit. 7 Ibidem, p. 28, atto del 18 febbraio, cit. 8 Ibidem, atto del 17 maggio, rogato dal notaio Regeno Mazzarella, giudice ad contracta è Giovan Carlo Mazzarella, testimoni sono l’Egregio Nunzio Masello Mazzarella, Giovanni Antonio Salurso, Giacomo Mazzarella, Paolo Mazzarella, Sabato di Gogliuzzo, Vincenzo Guariglia. 9 Ibidem: Bernardino nel 1530, atto del 26 dicembre; Sabatino e Giovanni nel 1541, atto del 1° novembre; Annibale nel 1545, atto del 28 aprile; Pirro, Annibale e Clemente nel 1554, atto del 18 febbraio; Vincenzo nel 1558, atto del 17 maggio; Marco Antonio, Giovan Vincenzo e Giovan Paolo nel 1564, atto del 4 agosto. 10 Ibidem, p. 32, atto del 4 agosto, cit. 1566,)
il fratello di lei, Giovan Tommaso, cominciò ad angariarla, approfittando di essere il conduttore di una comproprietà in località Sammati (o lo barco di Giorgio); ella allora, esasperata, col consenso del figlio Girolamo, decise di cedere la sua quota in enfiteusi ai nipoti Ferdinando, Mario e Fabio11. Costoro
poi, nel 1568, a loro volta, costringeranno la sorella Porzia, all’atto di sposare il magnifico Luca de Maria, appena ottenuta la dote, a rinunciare ad altre pretese sui beni paterni e materni12. Se questo, come abbiamo visto nella prima parte, era un modo pratico per conservare l’asse ereditario, per quanto riguarda i Guariglia, dai documenti pervenuti, sembra che proprio in questi anni la frenetica loro corsa all’acquisizione di fondi all’improvviso si arresti e gli episodi di cui sopra
sembrano l’avvisaglia di un’imminente decadenza, mentre emergono i Tipaldo (v. oltre) ai quali alcuni esponenti della casata, anche quelli che vivono a Napoli, si rivolgono per prestiti o vendite. Nel 1578 il notaio Domenicantonio Guariglia, che esercita a Napoli, compra degli introiti13 dai fratelli Alfonso e Ferdinando Tipaldo14; Tiberio è costretto a vendere per difficoltà economiche una casa a Silvio Tipaldo (riuscirà a riscattarla nel 1586), nel 1588 troviamo i fratelli Tiberio e Giuseppe debitori del magnifico Tomamso Tipaldo per aver comprato da costui 74 pecore a un ducato ciascuna: pagheranno il debito con l’interesse del 10%16. Probabilmente per debiti non onorati, nel 1590 troviamo Clemente Guariglia carcerato dalla Gran Corte della Vicaria17 a Napoli. Ed infine Francesco nel 1598 compra degli introiti nientemeno che dall’utile domino (cioè dal titolare del feudo) Giovan Vincenzo
Corcione (li riscatterà nel 1601). Il ramo principale si estinguerà agli inizi del XVII secolo: uno degli ultimi atti, del 1594, sembra porre fine a questa prima fase della vita del casato: Vasta Mazzarella, vedova di Baldassarre Guariglia, non avendo figli maschi, detta il suo testamento in favore delle due figlie Porzia e Pomponia e stabilisce la sua sepoltura nella cappella di San Nicola19, mentre la sorella Aurelia, moglie di Ottavio Mazzarella, morirà circa dieci anni dopo20. Altri rami della famiglia vissero a Napoli, Portici, a Cava e altrove, ma conservano beni a San
Mauro, oggetto anche questi di transizioni. Una figura emblematica della famiglia è il prete don Martino. Costui, una volta ritornato in paese dopo gli studi, non sarà estraneo alla corsa all’accaparramento di fondi coltivabili. Nel 1517 già possiede
una terra lavorativa con piante di ulive in località Lavaturo ed un’altra, in comproprietà col fratello Daniele, con viti in località le Bigne de Lanno confinante coi beni del vecchio Funzillo e degli eredi del fu Leonardo; nel 1528 compra un orto da un parente acquisito, Signorello Mazzarella, in possesso di un legato sui beni della moglie di costui Giovanna Guariglia, deceduta; nel 1530 acquista da un suo (11 Ibidem, atto del 2 giugno, notaio Masello Mazzarella, giudice ad contracta è il Nobile Giacomo Mazzarella, testimoni sono il Magnifico Tommaso de Pascale, il Nobile Giacomo Matonto, il Nobile Giacomo Giordano, i preti don Martino Marrocco, don Cubello de Marco, don Marco de Maria, don Marco Cesare de Maria. 12 Ibidem, atto del 28 agosto, notaio Masello Mazzarella, giudice ad contracta è il Magnifico Giovan Tommaso de Pascale, testimoni sono: il magnifico Carlo Pitillo, l’egregio Nunzio Simone Marrocco, Vincenzo Guariglia, Felice Mazzarella e i preti don Girolamo Pitillo e don Giulio Marrocco. 13 Era una formula “nobile” per dire che si chiedeva un prestito. 14 Rogito del notaio Luigi Giordano di Portici, in A. GUARIGLIA, Famiglie Guariglia e affini, op. cit., p. 219; il debito sarà poi saldato dal figlio Giovan Battista per 120 ducati nel 1613, ibidem. 15 Notaio Luigi Giordano di Portici, atto del 17 novembre, in A. GUARIGLIA, Famiglie Guariglia e affini, op. cit., p. 221. 16A. PERGAMO, Regesto delle pergamene, op. cit., p. 37, atto del 12 settembre, notaio Florio de Pandis, giudice ad contracta è il nobile Rinaldo Mazzarella, testimoni sono il Nobile Silvio de Pascale, il nobile Muzio Matonta, il magnifico Troiano de Maria e Silvio de Venucio. 17 Notaio Luigi Giordano di Portici, atto del 7 febbraio col quale il detto Clemente nomina procuratoti per i suoi beni a San Mauro Biagio e Granizio Guariglia, in A. GUARIGLIA, Famiglie Guariglia e affini, op. cit., p. 221. 18 Notaio Luigi Giordano di Portici, atto del 5 giugno, in A. GUARIGLIA, Famiglie Guariglia e affini, op. cit., p. 222. 19 A. PERGAMO, Regesto delle pergamene, op. cit., atto del 19 agosto, notaio Florio de Pandis, giudice ad contracta è il nobile Rinaldo Mazzarella, testimoni sono il Magnifico Giovan Battista Mazzarella, il prete don Giovan Carlo Mazzarella, il magnifico Ottavio Mazzarella, Vincenzo Mazzarella, Maurilio Mazzarella, Lelio Mazzarella. 20 G. ANTONINI, La Lucania, op. cit. vol. I, p. 268. 21 A. GUARIGLIA, Famiglie Guariglia e affini, op. cit., pp. 12 e segg, e regesto di atti notarili, pp. 218 e segg. 22 A. PERGAMO, Regesto delle pergamene, op. cit. p, 27, atto del 7 marzo, notaio Regeno Mazzarella: Signorello Mazzarella vende al prete don Martino Guariglia un orto in località Rii Cirridani per la somma di 18 tareni più il censo annuo di un tornese da versare a don Alessandro Salurso; giudice ad contracta è Conoscente Mazzarella, testimoni sono Virgilio e Gentile Matonta, Ostaniano Celenta, Marco di Maiori, Pietro Salurso, Pietro Fidirino 23 Ibidem, p. 27, atto del 26 dicembre, notaio Regeno Mazzarella: Francesco Guariglia vende al prete don Martino Guariglia una terra lavorativa con alberi di olive e da frutta nella località Lavaturo per la somma di 4 ducati)
consanguineo, Francesco, una terra con alberi di olive e da frutta; nel 1532 ingrandisce la sua proprietà in località Callìa acquistando i beni confinanti ceduti dai coniugi Brillio Mauro e Diana Ciuba, senza figli; poi nel 1541 acquista altri terreni messi a vigna e con alberi da frutta confinanti con questi;) nel 1556 affranca un censo su un vigneto e infine, nel 1564, ormai vecchio ed infermo ma sano di mente, detta il suo testamento lasciando eredi universali dei suoi beni, ivi compresa l’abitazione a la Serra, i nipoti Pirro, Giovanni, Tommaso figli del fratello Giovanni Andrea, e Ferdinando, Fabio e Mario figli dell’altro fratello Baldassarre. Un altro personaggio singolare del casato è certamente il frate carmelitano Antonio Guariglia, di cui si hanno pochissime notizie e per giunta contraddittorie. Pare che abbia fondato nel 1513 il convento del Carmine di San Mauro e poco dopo quello dell’Annunziata di Acciaroli28 che poi, fino alla sua soppressione (1652), rimase una dipendenza di quello. In verità la suddetta data indicata nel citato documento in nota, non corrisponde al vero: infatti frate Antonio visse nella seconda metà del secolo e morì, molto vecchio, il 18 novembre 1652. Non fu lui a fondare il convento di San Mauro, ma frate Cirillo de Maria nel 1594; probabilmente, invece, fu incaricato da quest’ultimo di rilevare, nello stesso anno, quello di Acciaroli (costruito dai Francescani nel 1565) e da costoro rimesso nelle mani del vescovo di Capaccio Lelio Morello. Sotto la sua guida questo convento prosperò tanto che potette dare in prestito alla cappella di San Nicola ben 50 ducati per finanziare il rifacimento della facciata e la costruzione dell’orologio, lavori iniziati prima del 1612 ed ultimati nel 1617: debito che la suddetta cappella estingueva versando 5 ducati all’anno. Divenuto priore del convento di San Mauro, nel 1615 acquistò dai fratelli Alessandro e Paolo Salurso una casa di quattro vani per 58 ducati, che con ogni probabilità fu il primo dei beni in dotazione al nuovo convento.
La cappella di San Sebastiano al Ratto
Oggi non più esistente, sorgeva nella località Ratto, dove alcuni esponenti dei Guariglia (le famiglie di Paolo, Marzio, Antonello e Margherita vedova di Feo Guariglia) vivevano nel 1489, come pare possa desumersi dal censimento fiscale di quell’anno. E’ probabile che un suo possesso fosse l’area a nord-est dell’attuale Piazza Serra (tra Pisciaponte e Pagliàra 31) dove è rimasto il toponimo catastale Santo Sevastiano.
(e 3 tareni e mezzo, gravata di alcuni canoni annui; giudice ad contracta è Conoscente Mazzarella, testimoni sono: Leonardo Greco Orlando di Maiori, Salvo di Maporo, Virgilio Matonta, Bernardino Guariglia, Conforto de Vincenzo. 24 Ibidem, p. 28, atto del 27 giugno 1532, notaio Regeno Mazzarella: i coniugi Bilio Mauro e Diana Ciuba vendono al prete don Martino Guariglia un appezzamento di terreno sito in località Callìa o Cerza Grossa per 4 ducati e 1 tareno e mezzo gravante di un canone annuo di un quarto di frumento da consegnarsi a Giovanni di Rizale; giudice ad contracta è Pietro Salurso, testi sono il principe Giovanni Magister dei Paleologo, Salvo Mazzarella, Cono Mauro, Simone Mauro, Virgilio Matonta, Sebastiano di Maiori. (25 Ibidem, p. 29, atto del 1° novembre 1541, notaio Regeno Mazzarella; Graduano Pitillo vende al prete don Martino Guariglia la terza parte di un terreno coltivato, con alberi da frutta e vigneto sito i località Callìa; il Pitillo aveva già affidato in precedenza allo stesso prete con atto dello steso notaio la gestione dell’intero appezzamento di terreno; giudice ad contracta è Ottaviano Mazzarella, testimoni sono Sebastiano di Maiori, Alessandro di Maiori, Sebastiano Guariglia, Giovanni Guariglia, Tommaso Mazzarella e Vincenzo de Maria. 26 Ibidem, p. 30, atto del 6 gennaio 1556 del notaio Giacomo de Pascale: il prete don Martino Guariglia affranca per 5 tareni da Lisco de lo Scano di Ortodonico il censo annuo di un grano e 4 tareni esistente per enfiteusi su un vigneto in località Zambrano o Imbarco di Iorio nei pressi del fiume (Vallone del Monaco o Iandolo); giudice ad contracta è Antonio Mazzarella, testimoni sono il Magnifico Manfredo Vertuccio di Celso, il Magnifico Sigismondo Greco di Cosentini, Egregio Francesco Cosiario di Galdo, Cola Angelo di Pando di Galdo. 27 Ibidem, p. 32, atto del 4 agosto 1564 rogato dal notaio Masello Mazzarella, giudice ad contracta è Giovanni Guariglia, testimoni sono Marco Antonio Guariglia, Giovan Vincenzo Guariglia, Giovan Battista Mazzarella, Giovan Paolo Guariglia, nobile Padovano Mazzarella, Giuseppe Tipaldo, Francesco Cilenta, Giovan Battista Cano. 28 Relazione del parroco D. Cristoforo Mazzarella in difesa del capomassa Antonio Guariglia dell’agosto 1799, in O. MARROCCO, Antonio Guariglia, Storia e destino di un insorgente (1799-1815), Ed. del Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli (SA), p. 13; per il convento del Carmine di San Mauro, v. A. LA GRECA, Storia di una civiltà rurale, op. cit., vol. I, pp. 85 e segg.; per quello di Acciaroli, v. Idem, Racconto storico-fotografico di Pioppi e Acciaroli, Ed. del Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli (SA), p. 53. 29 M. VENTIMIGLIA, Degli uomini illustri del Carmine Maggiore, stampa De Luca Lorenzi, Napoli, 1756, p. 258 30 APSMC, ora in Museo-Archivio “Eleousa”, Extracta a Scheda Notarii Gabrielis Volpe Hujus Terra Sancti Mauri, f. 62. 31 ASS, Catasti provvisori, San Mauro Cilento.)
Ad essa le suddette famiglie Guariglia, e i loro discendenti, rimasero legate a lungo tanto che agli inizi del Cinquecento Roberto nel suo testamento “lega” in suo favore la celebrazione di una messa
mensile nella stessa con oneri a carico dei figli Vincenzo e Domizio; e Vincenzo a sua volta, dettando il suo testamento nel 1559, conferma tale mandato e lascia al fratello Domizio e ai figli l’obbligo di provvedere alla celebrazione della messa mensile e li incarica anche di versare alla detta cappella 5 carlini una tantum.
Dopo questa data non abbiamo di essa nessun’altra notizia. E’ possibile che anche i rami delle famiglie Guariglia del Ratto abbiano fatto capo a quella di San Nicola de la Serra (v. sotto) nell’ambito di quella tendenza alla concentrazione degli interessi nel cuore del Feudo, di cui abbiamo detto nella parte precedente; per cui quella cadde in abbandono: ma forse anche per l’affermarsi dell’altra cappella, quella di Santa Maria del Rito, di patronato dei Mazzarella (v.), che segue di pari passo l’ascesa di questo casato.
La cappella di San Nicola a la Serra
E’ documentata inizialmente come San Nicola de Paliaria (Pagliara, toponimo che è rimasto ancora oggi nei pressi di Piazza Serra, verso nord), poi de la Serra, dopo che questo luogo diventò il centro del
Feudo inglobando nelle fortificazioni gli altri villaggi limitrofi, ed infine dei Guariglia.
Diciamo subito che questa cappella non sorgeva in origine lì dove è oggi, ma sul lato nord della piazza Serra, dove era detto propriamente Paliaria. La fabbrica antica fu abbattuta in occasione della costruzione della strada di raccordo San Mauro-Pollica i cui lavori furono realizzati tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. In un primo momento, nel 1899 si tentò di restaurarla, ma successivamente venne gradualmente demolita34; ancora nel 1912 non era stata ricostruita. L’ing. Gennaro Piccirilli, l’ultimo in ordine di tempo tra i tecnici che intervennero sul progetto originario della strada, nella relazione del 20 aprile di quell’anno, tra l’altro, così scriveva: “…quanto ai lavori occorrenti per la ricostruzione della cappella di S. Nicola di Bari, gli interessati hanno espresso il desiderio di ricostruire la stessa per proprio conto ed in altro sito. Perciò ho messo a disposizione dell’Amministrazione la
somma di Lire 2500, la quale è più che sufficiente sia per tacitare le pretese degli espropriati sia per eseguire i lavori di ricostruzione…”35. I quali però furono realizzati solo dopo la grande guerra e completati tra il 1929 e il 1932 per l’intervento del prof. Alfonso Guariglia di Raito, che si riconosceva quale erede dell’antica famiglia sammaurese. Costui fece costruire la facciata in pietre locali intagliate,
edificare l’altare in marmo e scolpire una nuova statua in bronzo da Rocco Milanesi; la nuova cappella fu consacrata il 24 ottobre del1932. Scompariva in tal modo, definitivamente, l’impianto originale e, con esso, l’antica statua in malta dipinta di san Nicola. La cappella è stata poi restaurata alcuni anni or sono per volere del parroco don Renaldo Giberti. La fabbrica antica, quasi certamente, era di fondazione antecedente al Mille, ascrivibile all’immigrazione italo-greca che interessò anche San Mauro tra l’VIII e il IX secolo. A parte la bizantinizzazione del luogo in tale epoca e la stessa intitolazione (san Nicola di Mira, poi di Bari, è uno dei santi il cui culto fu appunto introdotto in Occidente dai monaci italo-greci), in assenza di documenti
anteriori al XIV secolo, ciò che mi ha convito di questa antichità è la descrizione dell’interno della chiesa fatta il 19 agosto del 1736 da un chierico, alla morte del rev. don Antonio Guariglia, al momento dell’assegnazione del nuovo cappellano che, per antica tradizione, veniva designato dai capofamiglia di tutti i Guariglia riuniti a tale scopo. Ecco la parte del testo di interesse che certamente ci dà l’idea di come doveva essere in origine:
“…detta Chiesa è costrutta in una nave …dal corpo, per mezza porta si entra nella Cappella, destinta dalla nave, con altare, et arcotrave di legno chiusa ed mascatura… sotto soffitto il baldacchino di legno pintato, dentro il nicchio di fabbrica la statua di S. Nicola di Bari di fabbrica, pintata… sopra lo altare il gradino di legno pintato sostiene la custodia di legno pintata e dorata”. (32 Idem, Regesto della platea, op. cit., p. 44, rogito del 30 maggio per mano del notaio Masello Mazzarella. 33 Archivio Comunale di San Mauro Cilento (da ora ACSMC), Lavori pubblici 1879-1913, B. n° 2, fasc. Progetto di raccordo strada rotabile di San Mauro Cilento alla provinciale Omignano–Pollica, progetto dell’ing. Gennaro Piccirilli. 34 Visita pastorale di mons. Jacuzio del 9 maggio 1903, ”la cappella è in demolizione per il passaggio della nuova via”, in P. EBNER, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, op. cit., vol. II, p. 531; non mi è stato possibile controllare l’originale della Santa Visita presso l’Archivio Diocesano di Vallo in quanto i fascicoli relativi al XX secolo non sono consultabili, pur avendone fatta richiesta più volte. 35 ACSMC, Lavori pubblici 1879-1913, cit. 36 A. GUARIGLIA, Famiglie Guariglia ed affini, op. cit., p. 217. 37 Vedi A. LA GRECA, San Mauro Cilento, op. cit., pp. 51 e segg. 38 Il testo è tratto da A. GUARIGLIA, Famiglie Guariglia ed affini, op. cit., p. 216, il quale riporta di aver letto tale documento custodito dal parroco. Ma per quante ricerche abbiamo fatto, non ci è stato possibile rintracciarlo.)
Pochi gli elementi, ma significativi: il chierico, di rito latino, avrebbe dovuto scrivere “presbiterio” e
non “Cappella destinta dalla nave”: siamo, infatti, di fronte al classico luogo di culto di rito bizantino dove il corpo della chiesa è nettamente distinto dall’iconostasi (= luogo dove si conservano le icone dei santi39), definita “cappella” dal chierico (che probabilmente aveva perduto la memoria dell’architettura sacra greca), cui si accedeva tramite una infrastruttura in legno, una “mezza porta”; qui vi è un altare e
su di esso, in una nicchia, la statua del Santo in malta dipinta secondo l’uso rurale antico di derivazione orientale ed inoltre il baldacchino che sormonta l’altare; nella nave principale (quella dell’ingresso) vi è un altro “altare con il gradino di legno pintato sostiene la custodia di legno pintata e dorata”. Quindi due navi, quella in corrispondenza all’ingresso e quella dell’iconosatsi, con i rispettivi altari40. Tale
struttura dopo il Concilio di Trento e con l’opera di demolizione del rito orientale, avrebbe dovuta essere abbattuta, ma qui a San Mauro era addirittura sopravvissuta anche nella chiesa parrocchiale41. Nell’archivio della badia di Cava, il principale che raccoglie testimonianze preziosissime per quanto ci riguarda, questa chiesa, a differenza della altre omonime anche dell’ambito territoriale limitrofo42,
non è documentata. E ciò si spiega col fatto che tutti i “loci” che compongono il Casal Soprano, pur essendo di antica frequentazione bizantina come appunto si può evincere dalla presenza di luoghi di culto di intitolazione orentale (San Michele dei Sorrentini, poi cappella dell’Immacolata, San Sebastiano della Serra, Santa Maria de lu Rito del Ratto e, appunto San Nicola dei Guariglia), non appartenne mai alla badia di Cava, ma fu sempre “de pertinentiis Cilenti”. La prima notizia l’abbiamo rintracciata in un documento del 1391, un atto di acquisto, fatto da Giacomo Ventimiglia di Vatolla, di terre confinanti con “res S.ti Nicolai de Paliaria”43, nel quale si evince con chiarezza che la detta chiesa aveva un patrimonio di una certa consistenza: motivo per cui nel 1445 il papa Eugenio IV l’assegnò, unitamente ad altre, con tutti i suoi beni all’arciprete della Rocca.
Ma vediamo come era nel suo insieme la struttura così come appariva nel XVIII secolo, seguendo la descrizione del chierico di cui sopra: “…è situata… nella pubblica piazza vicino al Palagio Marchesale,
ligata alle case et beni del magnifico Giacomo Mazzarella il muro di ponente, la porta ed i piperni intagliati et cornicione, sopra il quale vi è lo scudo piccolo di marmo ed un cavallo sopra una sbarra, et tre stelle, la porta ha due battiture di legno, chiusa et mascatura mascolina; detta cappella è costrutta in una nave lastricata di calce, due sepolture ed li sogelli di pietra per la famiglia, il soffitto intempiato piano, per un scalone a volta si sale nell’orologio antico di detta cappella, sopra la quale vi
è una campana mezzana et l’effige di detto Santo ed iscrizione della famiglia, dietro la porta a man manca in una finestrella, la conca di marmo per l’acqua santa, prima situata poco discosta dalla porta, sopra una base di marmo piantata nell’astrico sopra una picciola colonna di marmo di due pezzi, che oggi stanno in terra; nel muro verso mezzogiorno, tre finestrini lunghi ed vetriate. Dal Corpo della Chiesa, per mezza porta si entra nella Cappella, destinta dalla nave ed altare, et arcotrave di legno chiusa ed mascatura, ed pavimento di calce. Il soffitto ha volta in quadro, nel muro verso il palagio la finestra ed vetriata per il lume, sotto detto soffitto il baldacchino di legno pintato, dentro il nicchio di fabbrica la statua di S. Nicola di Bari di fabbrica, pintata, sopra lo altare il gradino di legno pintato sostiene la custodia di legno pintata et dorata, coperta con cappetta di tela pintata, il Tabernacolo contiene la pisside d’argento dorato con cappetta di lana antica con le particole consegnate per comodità dell’infermi nel Casal Soprano… Nel muro verso tramontana una finestrina di legno con mascatura femmina, foderata di seta violacea, il lampioncino di legno stabile con li vetri con la lampada di vetro, che arde a spese dell’Università per venerazione del Santissimo..”. (39 In altre chiese (ma dipende dal rito) l’iconostasi con il suo carico di icone dipinte o, nelle chiese con influsso occidentale, scolpite, separa la nave, dove sosteno i fedeli, dal presbiterio, riservato al clero. 40 Nel Cilento una struttura come questa, cioè con nave d’entrata e nave dell’iconostasi, è sopravvissuta nella cappella di San Filadelfo a Pattano e, per andare poco oltre i nostri confini in un luogo ben conosciuto, è ancora perfettamente conservata nella chiesa dove ricevette il battesimo Padre (san) Pio a Pietrelcina. 41 O. MARROCCO, La chiesa parrocchiale, op. cit., pp. 15-16 e in Idem, Appendice, Inventario de’ sacri suppellettili, ed altre robbe…., del 1709 e rifatto nel 1720 da D. Nicola Guariglia sacrestano, pp. 41 e segg. 42 San Nicola di Mayrano (cfr. A. LA GRECA, San Mauro Cilento, op. cit., pp. 64, 73); di Giungatelle, donata alla Badia nel 1149 da Ragone di Postiglione; di Serramezzana, detto “de lo Bosco”, cenobio greco posseduto dalla Badia a partire dal 1073; di Novella (nei pressi di Perdifumo), donata alla Badia nel 1092 da un certo Guarino (cfr. P. GUILLAUME, Essai Historique sur l’Abbye de Cava, Cava dei Titteni, 1877, Appendice, pp. LXXXVI-LXXXVII). 43 D. VENTIMIGLIA, Notizie storiche del Castello dell’Abbate, op. cit., p. 76, da non confondersi con l’omonimo villaggio, non più esistente, ubicato nei pressi di Vatolla, documentato anche come Palearia, di cui in P. EBNER, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, voll. 2, Ed. di Storia e Letteratura, Roma, 1983, vol. II, p. 264; anche in P. CANTALUPO, A. LA GRECA, Storia delle Terre del Cilento Antico, op. cit., vol. II, p. 736. 44 Vedi testo della bolla nel cap. sul Casal Soprano.)
Questo aspetto, verosimilmente, l’aveva acquistato in seguito al “restauro” fatto a cura dei Guariglia nel 1504, data che si leggeva in un “cantone” ancora alla fine del XVIII secolo. Costoro dovrebbero averla rilevata intorno al 1465, stando al tenore di una “supplica” che, il 9 dicembre 1665, i capofamiglia del casato presentano al vescovo di Capaccio, Camillo Aragona46, in visita pastorale, nella quale essi dichiarano che la tenevano da duecento anni e ne chiedevano al conferma;
così in essa è scritto: “Ill.mo Ecc.mo Signore, gli infrascritti di casa Guariglia supplicando dicono a V.S. Ill.ma, come da ducent’anni in qua hanno posseduto pacificamente una cappella sita nella Terra di Santo Mauro nella piazza pubblica del Casal Soprano, quale dall’Ill.mi Predecessori di V. S. Ill.ma loro fu conceduta e vi ottennero la fondazione, quale per antichità, ed anni decorsi l’hanno smarrita,
che perciò la supplicano di nuova fondazione, e concessione, sono gli infrascritti (segue la firma di 29 capofamiglia) che l’ha evano ut Deus, quale cappella à sotto il titolo di S. Nicola delli Guariglia…” Il vescovo, nella stessa data, con apposizione della sua firma in calce alla supplica, concesse quanto richiesto, a loro e ai loro discendenti, con diritto di nominare il cappellano48. Dunque 1465, circa: sono gli anni nei quali i Guariglia avevano già cominciato a formare il loro patrimonio terriero e già si erano affermati nel casale de la Serra con il controllo delle porte Solarate (v. sopra). L’acquisizione della cappella diventava un atto di logica conseguenza per rinsaldare il loro prestigio economico. Tra l’altro, acquisirono anche il diritto di nominare il cappellano, di seppellire i loro morti nelle due tombe in essa ricavate e nel corso degli anni successivi la dotarono con rendite ricavate da fondi.
Non abbiamo notizie circa il patrimonio di cui fu dotata inizialmente la cappella nel XV secolo, ma conosciamo quello del Cinquecento, probabilmente acquisito dopo il restauro del 1504. Il primo munifico benefattore fu Pomponio Guariglia che donò un terreno lavorativo e con viti in località Callìa, un altro in località le Quarrate ed un altro in località li Salursi che il cappellano della chiesa affittava con contratti triennali. Anche i primi redditi e censi annui furono messi a disposizione
da alcuni esponenti della famiglia49, cui se ne aggiunsero altri da parte di esponenti di diverse famiglie, probabilmente imparentate per aver sposato donne dei Guariglia o loro debitori50. La cappella fu sempre il punto di riferimento spirituale e di prestigio sociale anche per quelle famiglie che si erano trasferite a Napoli. Infatti Giovanni Guariglia, che aveva sposato Tresolina Petillo, dettando il suo testamento il 15 novembre del 1585, nomina suoi eredi universali i figli Fabrizio e il rev.
don Giancola, nonché il nipote Giovan Battista, figlio del notaio Donato Antonio, suo terzo figlio morto in giovane età; lascia all’Universitas di San Mauro 11 ducati che dovevano servire per celebrare messe nella cappella di San Nicola alla quale dona la parte che gli spetta dei beni comuni e indivisi col fratello, il rev. don Marco Antonio, e precisamente una terra con piante di castagni in località li Savaresi51. E’ probabile che agli inizi dell’ultimo decennio del Cinquecento iniziarono i lavori di ristrutturazione della facciata per la costruzione di un piccolo campanile destinato a reggere l’orologio (v. la descrizione riportata sopra) e la campana sulla quale è incisa la seguente iscrizione: “Sum Ecclesiae S. Nicolai
(45 Archivio Parrocchiale di San Mauro Cilento (da ora APSMC), attestazione del parroco don Cristoforo Mazzarella dell’agosto 1799 in favore del noto capomassa Antonio Guariglia, in O. MARROCCO, Antonio Guariglia, op. cit., p. 14. 46 Comunemente riportato nei documenti come Camillo Ragone, resse la diocesi di Capaccio dal 13-4-1665 al 1°- 8-1677, cfr. L. ROSSI, Vallen in Lucania. Storia di una diocesi, Ed. del Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli (SA), 2001, p. 115, 408. 47 I quali erano: Tomaso, Antonio Domenico, Geronimo di Perillo, Luiso, Giovannino di Giovanni, Ottavio, Ortensio, Carlo, Agostino, Alessandro, Tomaso di Ascanio, Antonio, Domenico, Giovanni di Prospero, Giovanni di Vincenzo, Sabato, Andrea, mastro Ferrante, Gennaro, Mauro di Pomeo, Giovan Domenico, Francesco, Angelo, Michel’Angelo, Lorenzo, Nicola, Mauro, Andrea di Matteo, Francesco di Loiso. 48 “…omnibus precognominatis et successoribus legitimis ex coniuntione corporibus descendentibus ex linea mascolina, exclusis feminis, conservari jus antiquitus nominandi, et presentandi in ea Cappellanum et Beneficiatum… ut seppelliendi etiam feminas eiusdam Familiae in sepulcris in ea existentibus, descendenteibus ex petentibus et ex eorum heredibus, et successoribus.. in perpetuum cun omnibus ecclesiaticis prerogativis de jure concedi soliti et consuetis. Precipientes presentari Cappellanum beneficiatum, quam primun in tempore a jure statutum. Datum in Terra Sancti Mauri a Cilento in actus Sanctae Visitationis die quo supra nona decenbre 1665…”, in APSMC, Fascicolo della cappella di San Nicola dei Guariglia, estratto dell’atto stilato su pergamena (che dovrebbe essere conservata presso l’ADVL) redatto dal notaio Gaetano Rascio di Cannicchio nel 1732. 49 Bernardino, un tarì e 10 grani; Clemente, 8 grani; Roberto, 5 grani; Domizio, 5 grani; Giovan Antonio, mezzo tomolo di grano secondo la misura “piccola” del Cilento 50 Un mezzo grano da Andrea Matonta, un tarì e 16 grani da Biagio Tipaldo, 18 grani da Bernardino della Palmenta, un tarì e 10 grani da Donato e Marco Greco, 15 grani da Diomede Mazzarella, 2 tarì e 10 grani da Francesco della Palmenta e Virgilio Matonta, 8 grani dai fratelli Valerio e Grandinio Tipaldo, mezzo grano da Cristallo Celenta 51 Rogito del notaio Luigi Giordano di Portici, in A. GUARIGLIA, Famiglie Guariglia e affini, op. cit., p. 214.)
terrae S. Mauri Cilenti de familia Guariglia. A. D. MCCCCCXXXXIIII” (1594). Ma, per difficoltà economiche, i lavori furono interrotti e ripresi solo alla fine del primo decennio del secolo successivo quando il convento dell’Annunziata di Acciaroli, di cui era priore fratel Antonio Guariglia, intervenne
con un prestito di 50 ducati estinguibile versando 5 ducati all’anno e Pomponia Guariglia il 25 aprile 1605/52 le donò due fondi in località le Quarrate e Callìa.
In tal modo la ristrutturazione fu completata nel 1617, come ancora si legge sull’architrave della porta che fortunatamente fu recuperato nella ricostruzione del 1932: “Hoc opus fieri fecit familia de Guariglia. A.D. MDCXVII”.
(52 Rogito del notaio Paolo Emilio Curzio, in APSMC, Extracta a Scheda Notarii Gabrielis Volpe, op. cit, f. 57.)