SPARTACO, IL GLADIATORE CHE FECE TREMARE ROMA
Il capo dei gladiatori di Capua, che sollevò e organizzò gli schiavi nella terza guerra servile contro Roma e morì eroicamente in battaglia, ha dato origine a un mito destinato a durare nei secoli. In lui gli oppressi di ogni Paese videro il simbolo della riscossa.
Domenico Della Monica
(medico-scrittore)
E’ una notte di luglio dell’anno 73 a. C. : settanta uomini evadono dalla scuola dei gladiatori di Gneo Lentulo Batiato, a Capua. Avvolti dal silenzio della notte, avanzano lungo i viali della scuola. Più che camminare, scivolano furtivamente. Con molte precauzioni tirano i chiavistelli, aprono le porte.
Qualche passo, ed eccoli nella campagna. L’odore selvatico degli alberi e dell’erba che li circonda da ogni parte ha il profumo della libertà. Li guida un trace (tracio?). Il suo nome è Spartaco.
Inizia così quella rivolta dei gladiatori che farà tremare Roma e tutto il mondo romano, che non era nuovo a rivolte di questo genere. Altre volte Roma aveva temuto per la sua sicurezza, ma nessuna di quelle rivolte è paragonabile a quella guidata da Spartaco, soprattutto perché legata alla straordinaria personalità del condottiero. Ma chi era Spartaco? Un gladiatore. Quindi uno schiavo. Ma non era nato né per fare lo schiavo né il gladiatore. Le sue origini sono oscure. Tutto ciò che sappiamo è che era nato tra i monti della Tracia, l’attuale Bulgaria. Alcuni romani favoleggiano di una sua nascita regale, ma niente lo dimostra. Forse un’infanzia passata curando le greggi. Un pastore. Il passaggio di una legione romana segna la svolta della sua vita. Si ritrova al suo seguito; forse, come si narra, adottato come mascotte dai legionari, oppure attratto dal fascino della divisa. Le legioni romane sono di una forza straordinaria, e si possono intuire il fascino e la fierezza che possono derivare dal sentirsi parte di un corpo così prestigioso. Il che significava anche essere sottoposti a una disciplina ferrea. Per assicurarsene l’obbedienza, il sodato è tenuto costantemente sotto torchio. Il corpo sfinito da faticosi esercizi, la volontà annichilita da continue punizioni. Le vergate sono all’ordine del giorno, e così la prigione. Non era questo che sognava il giovane Trace. Tra le sue montagne era libero, non vincolato ad alcuna costrizione. Fino a quando potrà tollerare una condizione che, sotto l’uniforme, lo accomuna ad uno schiavo? Un giorno prende la sua decisione. Diserta. L’uomo che ha appena riconquistato la sua libertà è alto, atletico, dotato di una forza non comune. Il suo passo è fiero, lo sguardo ardito. Per non essere catturato si dà alla macchia, al brigantaggio. Una vita fatta di caccia nelle campagne, di colpi di mano occasionali, di attacchi ai convogli, di furti nelle ville. Trova riparo dove capita, in capanne o in grotte. La sua banda è composta da schiavi evasi o da avanzi di galera. Niente li ferma, niente li spaventa. Così per anni. Finchè un giorno la banda viene catturata e imprigionata. Spartaco sa bene ciò che lo aspetta: una morte atroce preceduta da lunghe torture. Ma la sorte gli si dimostra amica. Viene risparmiato e condannato alla schiavitù. Schiavo, Spartaco? E perché no? Non tutti gli schiavi vivono una vita infelice. Viene ceduto, insieme ad alcuni dei suoi compagni, a un mercante di schiavi che si preoccuperà soprattutto della loro forma fisica. Quindi riposo e una buona alimentazione: questa è la cura per ottenere degli schiavi presentabili sul mercato. Spartaco, in catene, attende il suo futuro padrone. Tra la folla dei curiosi e degli eventuali clienti, si fa avanti Gneo Lentulo Batiato, tenutario della scuola dei gladiatori di Capua, famosa in tutto il mondo romano. Batiato viene colpito dalla prestanza dell’atleta che lo fissa orgogliosamente. Lo compera.
Che cosa è una scuola di gladiatori? Nell’antica Roma, narra lo storico Festo, c’era l’usanza di sacrificare prigionieri sulla tomba dei guerrieri valorosi: quando ci si rese conto della crudeltà di questa usanza, si decise di far combattere dei gladiatori dinanzi alla tomba. Un costume, questo, molto antico. Già presso gli Etruschi si obbligavano gli schiavi a uccidersi tra loro durante i funerali del padrone. Si trattava quindi di veri e propri sacrifici. Roma aveva ereditato questa sanguinosa tradizione.
Il divertimento di vedere i contendenti trucidarsi tra loro era tale che a poco a poco l’usanza aveva cambiato di forma. Si era capito che presentando dei combattimenti sotto forma di cerimonia, ma di una cerimonia che si protraeva fino alla morte dell’uomo, il successo sarebbe stato sicuro. E così avvenne. Verso la fine della Repubblica le lotte dei gladiatori non sono altro che spettacoli – la più popolare forma di spettacolo – che vengono offerti al popolo da cittadini candidati a qualche incarico o a qualche promozione. Il pretesto è sempre quello di onorare la memoria di un parente defunto. Ma è, appunto, solo un pretesto. Il primo combattimento di gladiatori di cui si abbia notizia si tenne a Roma nel 264 avanti Cristo, nel luogo destinato al mercato del bestiame. In seguito i combattimenti si svolsero nel Foro, con gli spettatori in piedi. Vennero poi gli anfiteatri in legno. Infine, gli anfiteatri in pietra. All’inizio ci si era limitati ad armare dei semplici schiavi.
La morte di uno schiavo non rappresentava più di una semplice perdita di denaro. Poi si passò ai soldati prigionieri. In seguito si pensò – sempre per esigenze di spettacolo – di preparare degli schiavi opportunamente selezionati e addestrati in modo da diventare dei perfetti gladiatori.
Nacquero così le Scuole, come quella di Capua, diretta da Gneo Lentulo Batiato, dove è appena stato portato Spartaco. In certi periodi la scuola di gladiatori di Roma aveva contato fino a duemila “allievi”. Quella di Capua è naturalmente di proporzioni più modeste, ma ospita comunque oltre duecento futuri gladiatori. Spartaco si ritrova in un ambiente che ha insieme la parvenza di una caserma e di un collegio di atleti. Ma è anche una prigione.
Dormitori, sale di refezione e di soggiorno, viali ricoperti di sabbia: ma le porte sono sprangate con robusti catenacci, e le finestre hanno le sbarre. Alla scuola di Capua non si hanno problemi: si dorme, si mangia a volontà. A giorni fissi, non troppo spesso né troppo di rado, si portano alla scuola prostitute prelevate dal lupanare. Alcuni sarebbero anche inclini a sentirsi soddisfatti di una vita che, al confronto con la grande miseria che li circonda, potrebbe apparire come soddisfacente. Una vita “buona”, certo, ma in fondo alla quale c’è la prospettiva di una morte quasi certa. Infatti, nessuno, tranne qualche eccezione sopravviverà più di tre anni. Gneo Lentulo Batiato non è malvagio: da lui gli allievi non possono aspettarsi che un buon trattamento. Ma, ecco, viene il giorno in cui bisogna partire per l’anfiteatro, due uomini percorrono un lungo corridoio coperto, sono due gladiatori. Per mesi si sono esercitati insieme, magari sono diventati amici, e oggi sanno che uno dovrà morire per mano dell’altro. Già la folla riempie le gradinate.
Quando si offre un combattimento di gladiatori la città si svuota. Ecco l’arena, inondata dal sole. Una fanfara emette uno squillo potente, come succede oggi nelle corride. Fanno la loro comparsa i cavalieri e giostrano per un po’. Ecco il soprintendente dei giochi pronunciare il suo discorso, un discorso che viene ascoltato con impazienza. Finalmente ecco i gladiatori. Quando fanno il loro ingresso, un grido lacerante investe l’arena. Avanzano l’uno contro l’altro. Esistono quattro categorie di gladiatori: il mirmillone, che ha come arma una lancia e come unica protezione un casco e un grande scudo gallico, mentre il torace e le gambe sono nudi; il trace, che maneggia spada e lancia, e ha il corpo protetto da corazza e gambali; il reziario, munito di una reticella e di un tridente; il sannita che porta un grande scudo e una spada a lama dritta. Spartaco appartiene alla prima categoria. La volontà di battersi non gli manca, e gli spettatori ammirano la sua agilità, la sua forza, la potenza che si sprigiona dalla sua muscolatura. E’scattante, abile. E uccide. Ad ogni spettacolo è un trionfo. A Capua e dintorni tutti conoscono il suo nome, le sue vittorie. Lo acclamano. A sera, il rientro nella clausura della scuola di Capua. Per una volta ancora è salvo. Ma fino a quando? Apparentemente sembra rassegnato, come se si fosse abbandonato ad una sorta di complice fatalismo. Ma si può essere completamente rassegnati, in una simile situazione? Un sentimento invade sempre più spesso l’animo di Spartaco, ed è il sentimento dell’assurdità della sua vita, di quel che è diventata. Quando gli portano le ragazze del lupanare fa all’amore, ma senza quasi degnarle di uno sguardo. Ma un giorno tutto cambia. Una di queste ragazze è bella ed è tracia come lui. Nel giaciglio che dividono, si parlano nella loro lingua. Evocano il loro paese, i villaggi, le montagne. Sognano. In fondo, la più radicale delle evasioni non è forse il sogno? Ma per Spartaco è la fine di ogni tentazione a rassegnarsi. Quella donna lo ha cambiato.
Qualcuno potrebbe fare dell’ironia su questo incontro tra lo schiavo e la prostituta. Potrebbe parlare di romanzo a buon mercato. Ma avrebbe torto. I sentimenti che riempiono il cuore di quest’uomo e questa donna sono autentici e quindi degni di ogni rispetto. Adesso Spartaco vuole vivere, vuole essere padrone della propria vita. Vuole vivere per sé e per lei. Parla alla ragazza, lo ascolta: vuole che i loro destini siano uniti. La ragazza rimane contagiata dall’ardore del suo compagno: fuggiranno, ce la faranno. Il guardiano ora li separa, lei ritorna al lupanare. Per le sue compagne è quella di sempre, ma si sbagliano: lei è diventata un’altra.
La sera, quando la scuola di Batiato sprofonda nel silenzio, i catenacci alle porte tirati, le luci spente e i gladiatori dormono nei loro giacigli, Spartaco scivola accanto a loro. Parla, incita: un’altra vita è possibile, come?, nella fuga, uniti, tutti insieme, lasciare l’Italia e tornare ognuno nelle terre di origine, liberi! Oppure fondare una colonia, vivere, insomma! Le sue parole suscitano reazioni contrastanti: c’è chi non crede al progetto, ormai rassegnato attende la propria sorte; altri vorrebbero seguirlo, ma ritengono l’impresa impossibile; altri ancora credono nel sogno di Spartaco. Ma intanto il clima nella scuola è cambiato. Quei morti sopravvissuti obbediscono a fatica. Batiato, vecchia volpe, fiuta il pericolo. Da un giorno all’altro spariscono spade e lance, sostituite, per le esercitazioni, con armi di legno. I guardiani sono invitati a intensificare la vigilanza, e i risultati non si fanno attendere: tra i gladiatori subentra il timore e in gran parte rinunciano; per la maggioranza il piano di Spartaco si presenta irto di difficoltà, sarebbe pura follia. Se si tratta di farsi uccidere, come è probabile, tanto vale attendere il proprio turno nell’anfiteatro piuttosto che morire subito tra atroci torture. Gli scettici vengono lasciati al loro destino. Poco più di settanta uomini condividono il piano di Spartaco, si fidano e riconoscono la sua autorità. Spartaco, abile stratega, vuole allontanare i sospetti di Batiato: bisogna obbedire senza battere ciglio ad ogni ordine, è necessario mettere da parte ogni forma di ribellione. L’atteggiamento degli schiavi tranquillizza Batiato, e la morsa torna ad allentarsi. Ed è proprio ciò che Spartaco si attendeva.
I settanta fuggiaschi scivolano come ombre nell’oscurità della notte estiva: con estrema cautela hanno tirato i catenacci e aperto le porte, le sentinelle non si sono accorte di nulla. Sono ormai fuori, ma non possono dirsi ancora liberi. Appena sarà scoperta la loro fuga, Batiato scatenerà tutta la milizia di Capua sulle loro tracce. L’importante è guadagnare tempo, imboscarsi nella campagna circostante. Avanzano rapidamente verso Capua, fiutando l’aria calda della notte. Sono senza armi, avrebbero potuto impossessarsi di quelle in dotazione alla scuola, ma Spartaco aveva preferito non rischiare. Una volta a Capua, passano davanti alla bottega di un oste, riconoscibile dall’insegna. Si fermano, forzano la porta, portano via spiedi, taglieri, coltelli: meglio di niente. Ancora pochi passi e si fermano di nuovo, davanti a un lupanare. Spartaco entra e ne esce con la ragazza tracia. Di nuovo di corsa fino alle ultime case della città; ecco la campagna con i suoi profumi e il canto incessante dei grilli, che avevano dimenticato. Scorgono sulla strada una massa scura, un rotolare di ruote sul lastricato, uno scalpitio di cavalli: un carro. A un gesto di Spartaco lo assaltano, immobilizzano i conducenti: è un carro carico di armi proveniente da Roma e diretto alla scuola di Batiato! Grida di esultanza da parte degli uomini di Spartaco, decisamente gli dei sono dalla loro parte! Il carro viene svuotato e lasciato procedere verso Capua. Spartaco e i suoi uomini si rimettono in marcia.
(FINE PRIMA PARTE)
Bibliografia
- Lewis Grassic Gibbon SPARTACUS Milano 1973
- Howard Fast SPARTACUS
- Guarino Spartaco Napoli 1979
- Dogliani Spartaco, la ribellione degli schiavi Milano ‘97
- Testi di Sallustio, Tito Livio, Appiano.