ANTON CECHOV di Domenico Della Monica
La casa dei Cechov si trovava in fondo ad un cortile; le sue pareti erano ricoperte di calce. Tra il fango, le erbacce, i frammenti di mattoni, le immondizie che coprivano il cortile, i passi degli uomini avevano grossolanamente tracciato un sentiero che si dirigeva verso il portone d’ingresso, e un altro verso la stalla. Ad uno sguardo attento la casa sembrava come inclinata da una parte, rannicchiata e stanca come una vecchia. Sotto la grondaia un grosso barile raccoglieva l’acqua nei giorni di pioggia: l’acqua era un elemento raro e prezioso. Finestre dai piccoli vetri, una pensilina di legno, tre piccole stanze e una cucina ; dietro la casa spuntavano alcune acacie , in primavera il viale fangoso si copriva di fiori. Così si presentava la casa in cui nacque Anton Cechov il 17 gennaio del 1860,
preceduto da due fratelli e seguito da altri due e una sorella: un anno prima della liberazione dei servi della gleba, nel pieno del gran movimento liberale provocato dalle riforme agrarie volute dallo zar Alessandro II, soffio di liberalismo ben presto spento. Erano anche gli anni in cui Tolstoj cominciava a scrivere GUERRA E PACE, Turgheniev aveva completato altri due romanzi e Dostoievskj era appena ritornato dopo gli anni della prigionia in Siberia.
La città, fondata nel 1698 da Pietro il Grande, costruita sul Mar d’Azov, sul confine con l’Ucraina, si chiamava Taganrog. Pietro il grande voleva farne la più importante base navale del suo impero, poi ci ripensò: il Mar Nero è lontano dalla capitale, e cinque anni dopo sceglie il Mar Baltico, che lo collega con l’amata Germania.
Pietro il Grande
Così, nel 1703, da una palude vicino alla Narva, nasce Pietroburgo.
Ma Taganrog è il primo porto al mondo costruito in mare aperto, non in una baia. Ed è anche la prima base della Marina imperiale russa.
veduta di Taganrog
Cechov la descrive pigra, noiosa, sporca, sonnolenta. In realtà all’inizio dell’800 era uno dei porti più importanti dell’impero, esportava frumento da tutta la Russia, aveva un traffico imponente di merci, filiali delle più importanti banche, uffici consolari di varie nazioni. Collegata dal 1869 con l’intera rete nazionale ferroviaria, conta una popolazione di oltre trentamila abitanti, un ufficio postale, un teatro, una biblioteca, due quotidiani. Fanno parte della popolazione anche minoranze greche, tedesche, inglesi, italiane, francesi. I greci rappresentano la parte più ricca: mercanti, bottegai, artigiani.
L’infanzia e l’adolescenza dello scrittore non fu certo felice, come appare chiaramente da alcune sue lettere : “Te la sentiresti di scrivere la storia di un giovane figlio di un servo, prima garzone di bottega, poi cantore del coro, scolaro di liceo, studente di Università, educato ad inchinarsi ai potenti e a baciare la mano dei preti, ad accettare senza riserve le opinioni altrui, a mostrare gratitudine per ogni pezzo di pane che gli veniva dato, un giovane che è stato spesso frustato, che andava a lezione con le scarpe malridotte, che si immischiava nelle zuffe di strada, che torturava gli animali, che ambiva farsi invitare a pranzo dai suoi ricchi parenti, che si comportava con ipocrisia verso Dio e verso gli uomini senza ragione, soltanto per consapevolezza della propria nullità?
Te la sentiresti di scrivere la storia di come questo giovane ha potuto tirar fuori goccia a goccia il servo che era in lui e come, svegliandosi una mattina ha sentito che il sangue che gli scorreva nelle vene era sangue di uomo libero e non di schiavo?”
Così Cechov ventinovenne e già scrittore noto descriveva al suo amico editore Suvorin la sua giovinezza. In quello stesso anno (siamo nel 1889) scriveva al direttore di un periodico di Pietroburgo di cui era assiduo collaboratore: “Da bambino sono stato trattato con tanta durezza che ora, da uomo, accolgo la gentilezza come un fatto insolito, qualcosa di cui ho scarsa conoscenza. Ecco perché mi piacerebbe essere gentile con gli altri, ma non ne sono capace. “ Infine c’è un passo autobiografico del celebre racconto TRE ANNI, che Cechov scrisse quando ne aveva trentacinque:
“Ricordo che mio padre cominciò a darmi lezioni, o per dirla più semplicemente, a frustarmi, a soli cinque anni. Mi frustava, mi tirava le orecchie, mi colpiva alla testa e la prima domanda che mi ponevo, svegliandomi al mattino, era: sarò frustato anche oggi? Avevo la proibizione di giocare o di saltare. Ogni mattina e sera dovevo andare in chiesa, baciare la mano di preti e monaci, leggere salmi a casa… a otto anni dovetti servire in negozio. Lavoravo come garzone e la mia salute ne soffrì perché venivo picchiato ogni giorno. Più tardi, quando venni mandato alla scuola secondaria, studiavo fino all’ora di cena, ma dopo cena e fino a tarda sera dovevo stare in negozio.”
Il nonno di Cechov era stato al servizio di un ricco generale, proprietario terriero. Abile fattore, quando i suoi sei figli erano cresciuti, si era trovato con denaro sufficiente per comprarsi la libertà sue e quella della sua famiglia. Il padre dello scrittore era stato mandato a fare il garzone di bottega, in un tempo in cui le botteghe aprivano alle cinque del mattino e chiudevano alle undici di sera e frustate, pasti immangiabili, una condotta commerciale molto dubbia e la continua adulazione del cliente erano le forme adottate dalla maggioranza dei bottegai.
Il padre di Cechov aveva una grande passione per la musica, soprattutto religiosa, che però si risolveva in una schiavitù per i figli condannati a suonare e a cantare durante le funzioni religiose.
“Per il povero Anton”- ha lasciato scritto uno dei suoi fratelli – “che era ancora in tenera età, con un torace tutto pelle e ossa, una voce sottile e nessun orecchio per la musica, era un vero supplizio. Spesso piangeva amaramente durante le prove del coro, che andavano avanti fino a notte inoltrata e che lo privavano di quel sonno che sarebbe stato tanto necessario alla sua salute. Nostro padre era meticolosamente puntuale, severo, esigente per tutto quello che riguardava i servizi religiosi. Se il suo coro doveva cantare alla messa mattutina nei giorni di festa, ci svegliava alle due – tre di notte per portarci in chiesa con qualunque tempo.”
Anche la madre di Cechov era figlia di un mercante di tessuti, e due suoi fratelli erano morti di tubercolosi. Anton e suo fratello Nicolaj probabilmente ereditarono la malattia da quel ramo della famiglia.
Cechov affermò di aver preso il suo talento artistico dal padre musicofilo e la grande sensibilità dalla madre. Dal padre, però, oltre all’inclinazione artistica, ereditò anche una certa durezza e ostinazione di carattere, che resero i suoi rapporti col prossimo piuttosto difficili.
Tra i molti errori che il padre commise, uno dei più grossi fu quello di mandare i suoi tre figli maggiori, tra cui Anton, alla scuola greca della città. La strana motivazione del padre nell’imporre ai figli un tipo di scuola così lontano dalle loro origini, era che i soli ricchi di Taganrog erano mercanti e bottegai greci. Secondo lui, una volta tirati su alla greca – pensava addirittura di mandarli all’Università di Atene – anche i suoi figli avrebbero calcato le orme dei loro più fortunati concittadini.
Fu motivo di pungente rammarico in Cechov – ormai adulto – il fatto di essere nato e cresciuto in un ambiente dove il denaro aveva sempre avuto una parte predominante nella formazione dell’individuo.
La scuola greca lasciò scarse tracce in Cechov, che presto dimenticò tutto il greco moderno che vi aveva imparato, sotto la guida di un maestro che lo picchiava ancora più duramente del padre.
Lasciati finalmente gli studi di greco, Cechov frequentò le normali scuole secondarie per dieci anni invece dei previsti otto, perché fu bocciato per ben due volte ( e per punizione il padre lo teneva a bottega fino a notte alta).
La rovina economica provocata da alcune speculazioni sbagliate costrinse il padre a trasferirsi con la famiglia a Mosca nel 1876. Anton invece dovette restare a Taganrog per altri tre anni, finchè non ottenne il diploma.
Sin da allora il ragazzo cominciò ad essere di aiuto alla famiglia ( come avrebbe continuato a fare per tutta la vita) sul piano economico, inviando i pochi soldi che riusciva a risparmiare dando lezioni private.
Quando raggiunse i suoi a Mosca, essi avevano già cambiato alloggio più volte; vivevano in uno dei quartieri più poveri della città, noto soprattutto per i numerosi postriboli: dormivano alla meglio sul pavimento di una sola stanza, coprendosi con coperte e soprabiti. I disagi e le difficoltà non avevano modificato il carattere del padre, che per prima cosa aveva appeso alla parete dell’unica stanza una sorta di decalogo intitolato “Norme e regolamenti di ciascun membro della famiglia Cechov a Mosca”; e una mattina che uno dei figli aveva tardato ad alzarsi, l’aveva subito frustato.
L’8 agosto 1879, dunque, Anton arriva a Mosca, il suo arrivo viene salutato con grande gioia, forse la famiglia trova il suo vero appoggio.
Qualche giorno dopo si iscrive alla facoltà di medicina. In settembre comincia a frequentare: chimica, fisica, mineralogia, anatomia con dissezione di cadaveri. Diligente, non perde una lezione. Riceve una borsa di studio dal comune di Taganrog: cento rubli, con cui riescono a cambiare casa, sempre nella stessa strada, ma al secondo piano; almeno si respira. Tra le altre cose, ha portato con sé il manoscritto del dramma SENZA PADRE : ne lascia una copia nella portineria del Teatro Malyi, sogna che ad interpretarlo sia la grande attrice Ermolova. Non riceve nessuna risposta. Il manoscritto scompare; riaffiorerà soltanto nel 1923, tra le carte dimenticate.
Bisogna guadagnare qualcosa; in casa non c’è un soldo per le necessità più urgenti. Ha saputo che le riviste umoristiche cercano materiale; prova a scrivere qualche raccontino: la rivista LA LIBELLULA glieli pubblica; cinque copechi a riga. Meglio che niente. Usa diversi pseudonimi, quello preferito è Antosa Cechonte. Invia qualche raccontino anche alla rivista LA SVEGLIA: gli rifiutano i primi, poi qualcosa viene pubblicata. Mosca gli piace, nonostante la fatica, i disagi, la povertà.
Il 13 marzo 1881 Alessandro II, lo zar che aveva abolito la servitù della gleba, che aveva dato il via alle grandi riforme, cade vittima di un attentato terroristico. Gli succede il figlio Alessandro III, inflessibile autocrate, nazionalista, conservatore: inizia un periodo di violenta reazione politica, accanita repressione in ogni istituto scolastico o universitario, durissima censura nei confronti di tutti gli organi di stampa. Anche gli innocenti raccontini di Anton fanno fatica a passare attraverso le maglie della censura.
Intanto Cechov (Antosa Cechonte) comincia ad essere richiesto, conteso da vari giornali, e gli si dà sempre più spazio. Ad esempio, la rivista CRONACHE MONDANE pubblica due lunghe storie d’amore a puntate: FIORI TARDIVI e MERCE VIVA.
Ma il primo editore che gli offre una collaborazione vera e un compenso decente è Nikolaj Lejkin, che pubblica la rivista umoristica pietroburghese più popolare di quegli anni, SCHEGGE. Per Cechov è un bel salto di qualità; inoltre la censura nella capitale è meno pesante che a Mosca. L’incontro tra i due, grazie al poeta Palmin, avviene nell’ottobre del 1882; il mese dopo esce il primo breve racconto , poi dopo poche settimane un altro. Lejkin paga di più, otto copeche a rigo, ma è implacabile: non più di cento righe.
Questa limitazione, col tempo, si trasforma in una sorta di schiavitù: impedisce a Cechov di esprimersi con la libertà necessaria. Ma il timore di perdere un collaboratore prezioso induce Lejkin a cedere: il giovane scrittore può arrivare a centoquaranta righe. Ma c’è anche un altro problema: l’editore vuole soltanto racconti umoristici, mentre Cechov aspira a scrivere cose più serie. Gli viene chiesto anche di inviare didascalie e soggetti per le vignette umoristiche che venivano pubblicate sulla rivista. Insomma, è un lavoro che Cechov si sobbarca sempre più malvolentieri. Lejkin, invece, è entusiasta del suo collaboratore: nel corso di 4-5 anni compaiono più di duecentocinquanta brevi racconti cecoviani, alcuni sono capolavori assoluti: MORTE DI UN IMPIEGATO, LA FIGLIA DI ALBIONE, IL GRASSO E IL MAGRO, OSTRICHE.
Il 1884 è, per Cechov, un anno importante. Si laurea in medicina e pubblica la prima raccolta di racconti. In genere di Cechov medico si parla poco; invece, fino agli ultimi giorni della sua vita, eserciterà la sua professione, con dedizione. Ho una moglie legittima, la medicina, ripete spesso, e un’amante, la letteratura: quando sono stanco della prima mi rifugio dalla seconda, ma non ho nessuna intenzione di divorziare. Essere medico è soprattutto un servizio per il prossimo. Prima della visita, dice, cerca di far sorridere il paziente: il sorriso aiuta entrambi ad affrontare con serenità la malattia.
Schivo, come in tutto quello che fa, parla poco della sua professione, ma si prodiga senza sosta anche in situazioni molto difficili: carestie, epidemie, mettendo più volte a rischio la sua fragile salute. In città visita decine di pazienti, nei villaggi in cui trascorre l’estate centinaia di contadini: dai primi, per lo più amici, prende compensi irrisori, dai secondi nulla. Raccoglie fondi per i poveri, lotta per introdurre norme igieniche elementari, si adopera alacremente per organizzare scuole nel villaggio dov’è la sua tenuta e si slancia generosamente nell’opera di soccorso per i colpiti dalla grande carestia del 1891.,
Essere medico lo aiuta nella scrittura: gli insegna che si inizia dalla diagnosi. Un buon medico è prima di tutto un buon diagnosta. Poi viene la terapia. L’importante è che la diagnosi sia giusta. Perciò, quando scrive, comincia col raccogliere dati, raccontare fatti. Lascia parlare, ascolta, cerca il senso delle vite che gli passano davanti, ne osserva le inquietudini. Scrive in una sua breve biografia: “La pratica delle scienze mediche, ne sono convinto, ha avuto un profondo influsso sulla mia attività letteraria, ha notevolmente allargato il campo delle mie osservazioni, mi ha arricchito di cognizioni il cui vero pregio può comprendere solo chi è medico…”
Cechov ha da tempo in programma un viaggio a Pietroburgo, dove molti vogliono conoscerlo di persona, ma lo rimanda continuamente. Finalmente, agli inizi di dicembre 1885 decide: ospite di Lejkin, viene accolto con entusiasmo in tutte le redazioni. Conosce critici, letterati, giornalisti: ovunque sollecitano la sua collaborazione, in particolare Alexandr Suvorin, editore de “IL TEMPO NUOVO”. Suvorin preme per averlo tra i suoi collaboratori fissi, a condizioni favolose: dodici copechi a riga, spazio a volontà, qualsiasi tema, scadenze libere, nessuno pseudonimo. Cechov accetta. Tra l’influente editore e il giovane scrittore nascerà un’autentica, profonda amicizia che durerà per sempre.
Il 27 marzo 1886 arriva a Cechov una lettera che gli cambia la vita. E’di Dimitrij Grigorovic, noto scrittore; non un protagonista ma di sicuro una figura di primo piano della grande stagione letteraria russa degli anni Sessanta e Settanta. Si sono conosciuti durante il soggiorno a Pietroburgo. Nella lettera Grigorovic manifesta apertamente la sua stima.. Per Cechov le parole dell’anziano scrittore sono una sorta di scossa elettrica: finalmente c’è chi lo considera un autentico scrittore, non solo un umorista dalla penna facile.
Dimitrij Grigorovic
Fino ad allora Cechov aveva scritto i suoi racconti senza curarsi troppo dello stile; ma adesso, resosi conto della simpatia e ammirazione, non solo di Grigorovic ma anche dei molti lettori, soprattutto a Pietroburgo, scrivere per lui diventa un esercizio “serio” cui dedicarsi con impegno.
Intanto era uscita la sua seconda raccolta di racconti. Durante il quinquennio di lavoro per i giornali umoristi, si era abituato a raccogliere il materiale per i suoi racconti direttamente dai fatti ed episodi cui gli capitava di assistere; allo stesso modo il viaggio che intraprende nella primavera del 1887 nelle steppe del Don, gli serve per scrivere il racconto LA STEPPA, che comincia nel gennaio 1888.
Prima di partire si accorda con la sorella perché gli conservi le lettere che avrebbe scritto durante il viaggio; esse si riveleranno una fonte preziosa anche per altri racconti. In quello stesso periodo inizia anche la stesura di un romanzo, ma il tentativo fallisce, né mai gli riuscirà in seguito. Ogni volta che comincerà a scrivere un romanzo, verrà colto da attacchi di depressione, probabilmente causati dal timore di non arrivare fino in fondo. Dei tre tentativi che compirà, non è rimasto niente, se non il materiale che forse trasferì in qualcuno dei suoi racconti.
Per fuggire lontano da un amore che non riesce a dimenticare, ma che gli appare colpevole e senza speranza perché si tratta di una donna sposata e per poter diventare uno scrittore nuovo e diverso, sebbene malato, decide di fare un viaggio in Siberia, all’isola di Sakalin (che era una colonia penale) per studiare l’organizzazione carceraria. La donna di cui è innamorato si chiama
Lydia Avilova
che oltre ad un marito ha anche dei figli. Tra i due si era stabilita una corrente di intensa simpatia che tra alti e bassi continuerà per anni.
(FINE PRIMA PARTE)